Il sogno di Fathe
Fathe è un ragazzo di origine tunisina e polacca che, a causa di una situazione familiare difficile e di gravi carenze educative, è stato inserito in una comunità residenziale in Sicilia. Arrivato a 13 anni, con un passato segnato da disorganizzazione, povertà e una mancanza di supporto, Fathe ha iniziato un percorso di crescita grazie al sostegno della comunità, che ha saputo accoglierlo e guidarlo. Attraverso un processo di responsabilizzazione e costruzione di una relazione educativa solida, Fathe ha sviluppato il desiderio di aiutare i suoi genitori e costruire un futuro indipendente. Ora, frequenta un Istituto alberghiero con specializzazione in cucina, ha effettuato tirocini all'estero e continua a lavorare verso la realizzazione del suo sogno di autonomia economica e personale.
Fathe è un ragazzo che vive in un paesino della provincia di Trapani, in Sicilia. Il padre è tunisino e la madre di nazionalità polacca. I due genitori hanno un'età avanzata (entrambi più di 60 anni) e nei loro Paesi di origine hanno altri figli adulti. Fathe viene inserito in comunità quasi 5 anni fa. Al suo arrivo aveva 13 anni ed era un ragazzo che fino ad allora non era stato abituato ad essere accudito. I suoi genitori erano (direi che lo sono anche adesso) soggetti che si è soliti definire “multiproblematici”. Nonostante siano in Italia da tanti anni, non parlano bene l'italiano. Il padre fa lavori saltuari e spesso sta lontano da casa per lunghi periodi, la madre ha problemi di natura psichiatrica. A causa delle scarse risorse culturali ed economiche, Fathe era giunto alla sua età senza avere strumenti comportamentali né culturali. Il degrado vissuto sino a quel momento aveva determinato il fatto che Fathe arrivasse in comunità sovrappeso, incapace di organizzare il proprio spazio ed il proprio tempo. Non aveva nessun rapporto sociale con i compagni. Appena arrivato in struttura, la prima cosa che ci chiese fu: “Quanto tempo devo rimanere? Sapete, a casa ho tante cose da fare.” Doveva frequentare la terza media, ma va da sé che non avesse le competenze scolastiche di quella età. Leggeva a stento e non aveva un vocabolario tale da riuscire a comprendere il testo. Oltre a queste problematiche intrinseche del ragazzo, vi sono state anche delle questioni burocratiche da affrontare, poiché Fathe aveva la cittadinanza tunisina, molto scomoda rispetto alla eventuale cittadinanza polacca, alla quale pure poteva avere accesso. Con questo quadro iniziale la nostra equipe si è interrogata su come agire. Ci siamo chiesti: “Che cosa avrebbe fatto don Bosco?” Bisogna accogliere il giovane, coglierne i sogni, dire una parolina all'orecchio… Fathe aveva in mente solo di andare via dalla comunità al più presto. Sentiva la necessità di “salvare” i suoi genitori. Si chiudeva nei suoi lunghi silenzi e parlava solo con suo padre in un italiano stentato.
Dare la possibilità di sperimentare modalità nuove nella quotidianità, prendersi cura del proprio corpo, del proprio spazio (Fathe è arrivato da noi con poche cose, pochi indumenti, nessun oggetto “speciale”, lasciava vestiti sparsi per la camera, in maniera disordinata e spesso senza nessuna cura).
Sin dai primi giorni lo abbiamo rassicurato e lo abbiamo incoraggiato a trovare e coltivare i propri talenti, per far emergere il sogno che avrebbe voluto realizzare. Dopo un po' di tempo, ci ha confidato che avrebbe voluto trovare un lavoro ed aiutare economicamente i suoi genitori in difficoltà. Con tutti i componenti dell'equipe ci siamo adoperati per dare inizio al processo di responsabilizzazione di Fathe, per aiutarlo a realizzare il proprio sogno.
Un processo quotidiano fatto di osservazione, ascolto, riflessione. Abbiamo rispettato i tempi del ragazzo, facendo della relazione un canale privilegiato. Una relazione di gioco e di speranza. Con il tempo Fathe ha cominciato a riconoscerci come adulti di riferimento e ad un certo punto della relazione, si è sperimentato il patto educativo attraverso la responsabilizzazione e l'impegno a perseguire il proprio sogno. Abbiamo chiesto a Fathe di prendere le distanze dai propri genitori, non idealizzandoli ma
riconoscendo le loro carenze, per provare ad emanciparsi da quella routine “disordinata”. Una forza nella relazione è stata quella di essere sempre coerenti nelle nostre scelte e proposte. Abbiamo creduto nei nostri valori e questo per Fathe, abituato alle contraddizioni familiari, è stato molto rassicurante. Nella relazione educativa Fathe ci ha messo costantemente alla prova: ha messo alla prova noi e i valori che portiamo avanti, quasi incredulo che si potessero trovare adulti con coerenza di atteggiamenti. Lentamente abbiamo preso con lui degli impegni reciproci, così come avrebbe fatto don Bosco quando instradava i giovani presso dei datori di lavoro. Don Bosco stilava un contratto fra il ragazzo, il datore di lavoro e se stesso, con l’assunzione di responsabilità e l’assicurazione di garanzie reciproche.
Oggi si compie comunque un impegno che trae ispirazione da quell'esempio. Ci siamo impegnati ad organizzare degli incontri protetti con i genitori e ad individuare un percorso di studi che potesse renderlo autonomo economicamente una volta raggiunta la maggiore età. Ad aiutarlo a frequentare i suoi coetanei, giocare con loro. Oggi Fathe vede i propri genitori come persone per le quali avere affetto. Si incontrano una volta al mese. Gli incontri sono protetti e durano al massimo un'ora.
Frequenta un Istituto alberghiero con specializzazione “cucina”. Grazie alla scuola ha già fatto due tirocini all'estero e sente che la realizzazione del suo sogno si sta facendo sempre più vicina.
Educatore presso la comunità alloggio “Itaca” di Camporeale (Palermo), un’opera socio-educativa residenziale collegata all'Ispettoria Salesiana Sicula e alla rete associativa di Salesiani per il sociale, che ospita ragazzi di età compresa dai 12 ai 18 anni.