Se il servizio civile si trasforma in un abbraccio di un bambino


Vi scrivo da Monzon, in pieno inverno ma con un’atmosfera calda e accogliente grazie alle persone che ho intorno. Sto svolgendo qui il “mio” Servizio Civile, da poco più di un paio di mesi, nella scuola salesiana del paese.
Servizio civile che definisco “mio”, nonostante sia un Servizio che svolgo per gli altri, poiché è un’esperienza che già in poco tempo sta facendo crescere tanto me stessa per prima. L’affetto che qui riceviamo è veramente tanto, il paese è piccolo perciò molti ci fermano per strada e sanno chi siamo, soprattutto nei primi giorni spesso capitava di essere “avvistate” come “le nuove volontarie italiane!”, con entusiasmo da parte dei piu piccoli. L’accoglienza, non si può dire il contrario, è stata veramente speciale. Io e l’altra volontaria, Francesca, lavoriamo come appoggio nell’insegnamento ai ragazzini con maggiori difficoltà di apprendimento o a rischio di esclusione sociale per diverse ragioni.
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Provengono da realtà familiari o economiche a volte molto pesanti e sentire alcune loro storie mi ha fatto piu volte venire la pelle d’oca, incredula. La prima volta che me ne hanno parlato è stato tosto per me: mi sembra di toccare con mano problemi che sicuramente ci sono anche in Italia e a Milano, la mia città, ma con cui non ero mai venuta a stretto contatto. E più ascolto situazioni del genere, più mi sento riconoscente io per la vita vissuta fino ad oggi. Nelle classi in cui collaboriamo, inoltre, vi è un grande numero di ragazzini provenienti da famiglie marocchine, algerine, gambiensi, rumene e gitane, a dimostrare il fatto che l’immigrazione a Monzon è relativamente alta per essere un piccolo paese. Ed è bello vedere classi così variopinte, anche se a volte le differenze culturali tra loro stessi si fanno sentire.
Il lavoro con loro mi sta piacendo molto e vedo, con il passare delle ore, dei giorni e delle settimane, che ripongono sempre più fiducia in me e che si sta creando un rapporto via via più profondo. Lo stile di Don Bosco ha effettivamente qui il sopravvento: il creare un legame vero con gli studenti è uno dei punti di forza del centro. I ragazzi con cui lavoriamo hanno dai 12 ai 15 anni, e “camminare” accanto a loro, arrivare a fine giornata sentendo di essere stato presente e positivo nella giornata di qualcun altro, fa andare a dormire magari stanchi, ma con il sorriso.
A volte basta un abbraccio (inaspettato) appena entro in aula da parte di uno dei più piccoli, oppure sentirmi dire un “grazie” quando aiuto qualcuno a capire un esercizio, o ancora ricevere un disegno fatto per me da uno di loro: gesti che mi fanno comprendere come stia effettivamente “lasciando un’impronta” (“dejar huella” in Spagnolo, dal discorso di Papa Francesco). Sono piccoli momenti di cui vado fiera e per cui vale la pena vivere il “mio” Servizio Civile.
Un abbraccio da Monzòn a tutti gli attuali, passati e nuovi volontari. Manuela

 


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