Una parola che può riassumere l’intensità emotiva è “gratidão”

Non è facile cercare di (de)scrivere nero su bianco la girandola di emozioni che il volontariato all’estero muove. Ma partiamo con ordine.
Mi chiamo Sara e sono volontaria a São Leopoldo, cittadina alla periferia di Porto Alegre, nel sud del Brasile.
Sarò molto sincera, al momento dell’invio della domanda non ero mossa da grandi ideali. Puntavo tutto alla crescita professionale, dopo la laurea in Lingue. Avevo visto il bando come si vedono le offerte di lavoro su Linkedin: un’occasione per candidarmi nella speranza di essere presa e di iniziare a lavorare. Ero sì, attratta dal progetto che parlava di inclusione sociale, giovani vulnerabili, emancipazione femminile e sostenibilità ma una grande parte di me era ancora fortemente influenzata dalle aspettative sociali e familiari che alla soglia dei miei 28 anni mi volevano con un lavoro stabile, possibilmente in linea con gli studi compiuti e ben remunerato, a vivere in una città grande e piena di opportunità.
Ero talmente condizionata dal giudizio altrui che avevo paura di essere vista come qualcuno che fugge dalle responsabilità, da una vita sicura in Italia per avventurarsi in un mondo incerto, un’egoista che si allontana per tanti mesi dai propri cari. Per cosa poi? Per aiutare gli altri? I bisognosi sono ovunque, anche in Italia. Per scoprire se stessa? Basta ritirarsi qualche tempo in un rifugio montano, senza social, vedrai che rigenerazione! È per questo che per settimane ho ripetuto a me stessa e agli altri che sarei partita solo per migliorare il mio portoghese. “Mi serve una full immersion in Brasile per raggiungere alti livelli di fluenza”, dicevo.
Ci ho messo un po’ ad ammettere che ero mossa da altro e che non c’era niente di male se fossi andata via per un anno. Non avrei sprecato tempo, al contrario, lo avrei investito nella crescita personale e a servizio di chi ne aveva bisogno. I mesi di attesa tra l’invio della domanda e la pubblicazione dei risultati sono stati utilissimi per capirlo. Mi hanno permesso di fare un grande lavoro di introspezione e di ragionarci bene su.
Un consiglio ai futuri volontari: portate pazienza. Anche quelli che possono sembrare “tempi morti” fanno parte del processo e dell’esperienza.
Il Brasile è un paese pieno, carico, bellissimo ma anche fortemente contraddittorio. Come molti Paesi del Sud America è ancora in via di sviluppo e questo significa che nello stesso quartiere si possono scorgere grattacieli in vetro e acciaio dove lavorano donne e uomini d’affari e favelas di legno e mattoncini rossi abitate da famiglie numerose che a volte non hanno cibo a sufficienza per sfamare tutti. Basta solo girare l’angolo, letteralmente. Per me, italiana, europea, è stato un impatto forte a cui forse solo ora, dopo quasi tre mesi di Servizio, inizio ad abituarmici. Sapevo che sarebbe stata dura ma non avrei mai pensato che in alcuni giorni avrei desiderato tornare a casa. Consiglio a chiunque deciderà di partire di stringere i denti, soprattutto all’inizio, di ricordarvi dell’euforia e dell’adrenalina che vi animavano al solo pensiero di venire qui, quando eravate ancora in Italia. Non preoccupatevi, la maggior parte saranno giorni memorabili che avrete paura di dimenticare. Giorni in cui vi sentirete esattamente nel posto giusto, al momento giusto, con le persone giuste. Non riesco ancora a mettere a fuoco cosa il Servizio Civile all’estero abbia portato in me o come mi abbia cambiata. Non è facile capirlo quando il cambiamento lo si vive quotidianamente. Ho però avuto modo, fin dai primissimi giorni, di vedere come il mio aiuto stia concretamente contribuendo al benessere dei bambini e delle donne che fruiscono del
progetto. Come quel giorno quando abbiamo portato i bambini della favela al parco acquatico. Molti di loro non ci erano mai stati. Alle 8.00 di mattina sprizzavano entusiasmo da tutti i pori, si erano vestiti a festa, con le migliori camicette per celebrare un evento straordinario nelle loro piccole e semplici vite. O come quando abbiamo accompagnato alcune donne lavoratrici della favela al Forum Sociale a Porto Alegre. Una giornata diversa per loro, tutta al femminile in cui, nei 45 minuti di treno, abbiamo potuto parlare delle nostre vite e scoprire quanti sogni abbiamo in comune. Come dicevo qualche decina di righe fa, è davvero difficile scrivere cosa si prova quando si è partecipi di un’esperienza del genere. È una scoperta continua, un vero e proprio tsunami di emozioni che ti investe quotidianamente. Si ha paura di lasciare l’Italia e la routine confortante che si ha ma poi, quando si arriva qui e le persone ti ringraziano sorridendoti, abbracciandoti e dicendoti “Obrigado pela tua presença” si inizia ad avere paura del tempo che passa, ci si inizia a domandare cosa verrà dopo tutta questa ricchezza. Se c’è una parola che può riassumere l’intensità emotiva che sto vivendo è sicuramente gratidão.
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