Una casa, un progetto educativo e un lavoro per prepararsi al reinserimento della società. La Comunità “Don Graziano Muntoni”, a Sassari, accoglie una quindicina di ospiti, uomini e donne, in misura alternativa. Chi arriva li, lo fa con la motivazione di chi vuole rimediare all’errore commesso, riscattarsi, riprendere in mano la propria vita. I percorsi nascono già in carcere, con l’ascolto e l’osservazione, grazie alla lungimiranza del cappellano (dal 2011) della Casa circondariale di Bancali, Don Gaetano Galia (salesiano e direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale penitenziara], che nel 2018 ha fondato questa Comunità per accogliere i detenuti privi dell’opportunità di un luogo in cui trascorrere le ore da scontare fuori dal carcere.
«Qui hanno la possibilità di sentirsi valorizzati, scoprirsi “risorsa” – spiega don Galia- sperimentare una vita legale, serena. Per ognuno un progetto educativo «in cui rientrano il volontariato e l’attività lavorativa, fondamentale per la liberazione della persona». Attività portata avanti grazie alla Cooperativa salesiana “Differenze”, associata a Salesiani per il sociale, con 19 dipendenti di cui 14 provenienti dal mondo della detenzione. Tra questi Mustafa (nome di fantasia) che per alcuni mesi ha finito di scontare la sua pena. “Questo percorso mi ha fatto guardare al futuro, mi ha aiutato a integrarmi. Sono cambiato, orgoglioso di me stesso. Ho trovato persone che mi hanno indicato la strada giusta.”
In Comunità si vive come in famiglia, anche grazie alla presenza h 24 delle suore delle Poverelle di Bergamo. Un’opera diocesana “frutto di un unione di carismi -continua Don Galia- in un’innovazione profetica, in cui le congregazioni capiscono che devono unire le forze.” I percorsi variano a seconda della durata della pena, alla base, dello spirito di famiglia, l’essere comunità “mista” in cui so cresce nella parità di genere, l’interculturalità, il carattere ecumenico in cui la preghiera diventa occasione di dialogo e incontro.
Silvia (nome di fantasia) oggi vive con i suoi figli, lavora. Incontra per la prima volta don Gaetano una decina di anni fa, in carcere, «Oltre alla mia libertà avevo perso la mia identità: grazie all’ascolto ho iniziato importante. Circa sei anni fa, l’arrivo in Comunità «Facevo le pulizie, aiutavo a cucinare, ciò che si fa in una casa. Per me è stato un nuovo inizio: la possibilità di ricostruire relazioni, ritrovare l’intimità con i miei figli. Ho riacquistato sicurezza, dignità, quella normalità che mi era stata tolta. Aiutando le suore in cucina è un modo per ricambiare l’aiuto ricevuto, ancora lì oggi mi sento importante.»
Enzo e Agim (nomi di fantasia) alcuni anni fa hanno iniziato a lavorare, in regime di art. 21, nel Parco nazionale dell’Asinara, nella digitalizzazione dell’archivio dell’ex carcere. Qualche tempo fa per entrambi, la Comunità diventa “casa” per entrambi ore di semilibertà, oltre al lavoro. Sto cercando di ricambiare la fiducia datami rendendomi utile per gli altri -afferma Enzo-. Sono cresciuto senza riferimenti, qui ho capito il valore della famiglia. «Mi sento libero almeno in queste ore del giorno- dice Agim- qui non ci sono nè sbarre nè chiavi, non riceviamo ordini ma responsabilità. Vengono a trovarci ragazzi da scuole e parrocchie e noi andiamo da loro: se uno arriva a raccontarsi significa che ha trasformato la sua sofferenza in qualcosa di buono. Facciano capire ai giovani che gli errori si pagano, ma che se si vuole e grazie alle persone giuste, dal carcere si può uscire migliori.»
Si lavora insieme all’Ufficio esecuzione penale esterna, al tribunale di Sorveglianza di Sassari, e al carcere, non solo con quello di Bancali; inoltre, si fa parte del Coordinamento regionale delle comunità (8 in tutto) coinvolte nell’accoglienza al mondo della detenzione, sostenute dalla Regione: «Un valore aggiunto per incidere a livello politico, ma anche per confrontarci tra di noi.» dichiara don Galia. A garantire l’attività della Comunità, anche la Chiesa di Sassari, grazie all’8×1000 e all’auto sostentamento, per esempio con la vendita dei prodotti coltivati nell’orto, dove alcuni degli ospiti svolgono le loro quatto ore di volontariato ogni pomeriggio. Altri accompagnano i bambini delle scuole nelle visite alla fattoria didattica. Attività finalizzate alla cura della natura e degli animali ma anche a insegnare un lavoro, grazie all’affiancamento di turo e ai corsi di formazione professionale.
Ci sono poi momenti ed esperienze di condivisione comunitaria anche fuori città: in programma, la partecipazione della Comunità al Giubileo dei detenuti il 14 dicembre 2025 a Roma.
L’articolo è a firma di Maria Chiara Cugusi ed è stato pubblicato su Avvenire di giovedì 28 novembre 2024.