“Da giorni assistiamo alla triste vicenda dei migranti bloccati sulla nave “Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania e continuiamo a sottolineare che è prioritario il bene della persona, è una questione di umanità, di pieno rispetto dei diritti della persona. Mostrare i muscoli o trattare con l’Europa sulla pelle di chi non può appellarsi ed esprimere la propria vicenda non è una cosa giusta, l’unico muscolo da mostrare è il cuore che come sappiamo ordinariamente funziona pur se per assurdo il nostro cervello gli ordinasse di fermarsi”, dice don Giovanni D’Andrea, presidente di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS.
“Il cuore: serve questo, unito certamente anche alla testa che nel dialogo e nel confronto deve trovare soluzioni sostenibili. Soluzioni che da più parti in Italia sono state espresse ma non trovano la giusta ricezione. La vicenda della nave “Diciotti” ci coinvolge pienamente come Salesiani per il Sociale, poiché siamo presenti sulle banchine del porto con nostri rappresentanti insieme con tante altre persone il cui cuore batte per l’umanità”, conclude.
“Ci sono 150 persone sequestrate su una nave: per alzare la voce con l’Unione europea e cambiare il Trattato di Dublino non si possono bloccare dei poveri in un porto”. Agostino Sella, responsabile dell’associazione “Don Bosco2000”, ha assistito allo sbarco dei minori dalla nave “Diciotti” a Catania: “Sono 14 ragazzi di 15/16 anni, magri, affamati. I minorenni sono stati trasferiti in un centro ministeriale”. Salesiani per il Sociale, attraverso l’associazione “Don Bosco2000” e gli altri enti presenti nel territorio catanese, accoglie e lavora con i minori stranieri non accompagnati, offrendo loro un percorso di integrazione con l’offerta scolastica e di formazione professionale. “Va fatto un piano nazionale di accoglienza , chiudendo i centri che fanno business sulla pelle dei migranti. Si tratta di persone che scappano dalla guerra: quelli sulla nave “Diciotti” vengono dall’Eritrea, dove a 16 anni ti arruoli o scappi, oppure dal Mali, da tutti Paesi non democratici. Sono stati in carcere in Libia prima di imbarcarsi”, conclude Agostino Sella.