Si è spento il fondatore della Comunità dei Giovani che fu anche cappellano del carcere. Così il Corriere di Verona del 3 ottobre.
È morto a 87 anni don Sergio Pighi. Fu cappellano del carcere e fondatore della Comunità dei Giovani. Così lo ricorda don Mazzi
“Don Sergio era un prete vero. Un pastore. Che ha sempre seguito le regole del gregge. Perché a noi le regole le danno i poveri”, lo ricorda don Antonio Mazzi che di don Sergio era cugino e col quale era cresciuto. “Per me era un fratello. Se n’è andato l’altro giorno a 87 anni, quel salesiano che aveva scelto Verona come terra di missione in cui seminare quel pensiero, alquanto “rivoluzionario” degli “ultimi che per me sono i primi”.
Aveva scelto i carcerati, don Sergio, me lo ricordava sovente, un po’ per rimarcare che quel mio ministero lui l’aveva già esercitato. Diventando, ci ricorda ancora il giornale locale, “cappellano di quel Campone che negli anni Settanta brulicava di chi s’invischiava nella “Verona Bangkok d’Italia”.
Fu il primo ad aprire una struttura per gli ex detenuti in via XX Settembre. E non fu per niente facile. Ma lui aveva capito che quelle persone non avrebbero avuto un futuro se non ci fosse stato qualcuno ad accoglierle”. “Ha sempre affrontato problemi difficili con passione, per tutta la vita. È stato una figura bella per la storia di questa città”.
Quella “passione” per un’umanità imperfetta ha portato don Sergio a fondare nel 1972 la Comunità dei Giovani che, con il Ceis e San Patrignano che nascevano negli stessi anni – divenne riferimento per chi dallo scannatoio della droga provava a uscire. È diventata una realtà nazionale, quella Comunità. Fondata da don Sergio con un altro salesiano, Francesco Cremon, che tutti chiamavano Franz “prete di strada” in Ciad. Don Sergio ricordava “non mi veniva chiesto né di filosofia, né di alta teologia, ma di vivere alla giornata, di abitare la strada, di condividere case diroccate con giovani usciti di carcere, senza una famiglia, ingolfati di droghe, di riscoprire insieme le piccole cose, i gesti di solidarietà condivisi, il perdono accordato e ricevuto, il mettere l’altro con la sua sofferenza al primo posto”.
Il ricordo di don Sergio per me ha il sapore di un grazie, sincero, cordiale, senza fronzoli, come lo erano i suoi interventi, schietti, un parlare che andava dritto al cuore del problema, senza girarci troppo intorno, a volte con l’impeto che poteva sembrare irruenza, ma per chi lo conosceva era solo dettato dalla forza delle sue convinzioni, sì delle sue passioni per i giovani ai margini. Presente fin dagli esordi ai nostri incontri del Settore Disagio ed emarginazione dei Salesiani in Italia. Per questo mi propose un testo martire di una lettera che voleva indirizzare ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, alle Volontarie di don Bosco, ai Cooperatori, agli ex-allievi e ai giovani, A tutti chiedeva di “ricordare che entrare in una Casa di Don Bosco è un privilegio che dovrebbe abilitare nell’aiuto verso coloro i quali sono più sfortunati che colpevoli.” L’accogliemmo come una proposta qualificante per il Settore. Era un nostro modo di celebrare il centenario della morte di San Giovanni Bosco. Infatti la lettera uscì, ad agosto del 1988, pubblicata su il Moschino, rivista della Comunità dei Giovani di Verona, con il titolo: Carissimi. Lettera alla Famiglia Salesiana inviata da alcuni Confratelli che operano nel campo della emarginazione giovanile.
La firmammo in 20 salesiani d’Italia, impegnati nelle diverse realtà salesiane a fianco dei giovani in grave disagio esistenziale. Scrive don Sergio in apertura: “Forse questi pensieri servono di più a noi perché permettono di fermarci a considerare dove siamo incamminati. Le urgenze gravissime – a volte ci sembra di giocare un macabro gioco di chi arriva prima con la morte – ci impediscono di far passare la cronaca in cultura. Invece è un’operazione quanto mai necessaria ed urgente sotto ogni punto di vista. Posso testimoniare che da quella linea si è mai scostato, a costo anche di gravi sacrifici. Grazie, don Sergio.
Don Domenico Ricca, cappellano del carcere Ferrante Aporti di Torino ed ex presidente di Salesiani per il Sociale