Nei giorni scorsi la Sicilia ha vissuto una dicotomia di cui si è parlato a lungo. La morte di Biagio Conte, il missionario laico amico dei poveri, un novello San Francesco e la cattura, dopo 30 anni, di Matteo Messina Denaro. Don Giovanni D’Andrea, ispettore dei Salesiani in Sicilia ed ex presidente di Salesiani per il Sociale ha conosciuto bene fratel Biagio, negli anni in cui dirigeva la casa palermitana di Santa Chiara. “Il 16 gennaio 2023 sarà una data che passerà alla storia per l’Italia ed in maniera particolare per Palermo – dice -. Alle 9,15 del mattino presso la Casa di cura “La Maddalena” veniva arrestato dopo 30 anni di latitanza il boss “primula rossa” della Mafia Matteo Messina Denaro, 60 anni. Alle 7,00 della sera dello stesso giorno veniva portato nella cattedrale di Palermo la salma di Fratel Biagio Conte, 59 anni, missionario laico fondatore nel 1993 (anno di inizio della latitanza di Matteo Messina denaro) della “Missione Speranza e Carità” luogo di accoglienza di poveri e diseredati, è morto causa di un tumore il 12 gennaio. Un tumore, lo stesso per cui il boss si curava da tempo presso “La Maddalena”.
Don Giovanni, tu hai conosciuto e collaborato con fratel Biagio, facendogli incontrare i giovani.
Ho avuto modo di collaborare direttamente con Biagio Conte nei sei anni vissuti a Palermo nella casa salesiana di “Santa Chiara” nel quartiere dell’Albergheria meglio noto come Ballarò. Stretto e fidato collaboratore di Biagio Conte è Don Pino Vitrano ai tempi anche lui salesiano, ed unico prete della Missione, quando si assentava diverse volte andavo a celebrare l’Eucaristia, a piedi da Santa Chiara si arriva in mezz’ora. L’andare alla “Missione” in Via Archirafi era occasione per incontrare Fratel Biagio Conte, quando entravo in chiesa mi chiedeva di benedirlo, lui seduto al primo banco o sul presbiterio vicino l’ambone mi prendeva la mano e ponendosela sul capo mi diceva “Benedicimi, benedicimi”, io sorridendo gli facevo un segno di croce col pollice sulla fronte e poi sorridendo dicevo “Ah Biagio, Biagio” ed andavo a prepararmi in sacrestia.
Negli anni Biagio Conte aveva fondato tre centri di accoglienza per persone povere ed abbandonate, due per uomini, uno in Via Archirafi fu il primo in assoluto (nell’ex abbandonato edificio del sanatorio), l’altro in via Decollati “La cittadella dei poveri” (Ex caserma dismessa dell’aeronautica) qui nel 2015 venne accolto anche Papa Francesco, era l’anno del Giubileo della Misericordia e quello era un luogo dove la si rendeva concreta. In via Garibaldi (Chiesa e convento di S. Caterina da Siena) la casa di accoglienza per le donne alcune delle quali con i loro bambini. Tre luoghi vicini alla Stazione centrale FS dove iniziò l’opera caritatevole di Fratel Biagio nei primissimi anni ’90 del secolo scorso.
Cosa significa la cattura di Messina Denaro, soprattutto per i giovani siciliani?
Non ho certo collaborato con Matteo Messina Denaro ma in modo indiretto come salesiani abbiamo provato a contrastare la mentalità mafiosa che lo caratterizza avviando azioni e percorsi di legalità con i ragazzi dell’Oratorio alcuni dei quali appartengono a famiglie che hanno avuto o hanno situazioni conflittuali con la giustizia, famiglie etichettate come mafiose e certamente malavitose. Per alcuni ragazzi figure come Totò Riina (in quegli anni andò in onda in TV la miniserie “Il Capo dei capi” e mentre fuori da Ballarò l’eroe era Biagio Schirò personaggio fittizio che arresterà Riina, a Ballarò era il contrario. Ricordo un ragazzo che sapeva a memoria le frasi che Riina diceva nella miniserie TV), Michele Greco e l’imprendibile Matteo Messina Denaro erano modelli a cui guardare. In quest’ambito citavo spesso una frase del Beato Don Pino Puglisi, “3 P” sacerdote palermitano assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993 giorno del suo compleanno (Che coincidenze quest’anno 1993!!): “Picciotti, questa è strada che non spunta”, che sta a significare che si è preso un percorso (malavitoso) che non avrà uno sbocco buono, non farà vivere bene, alla “luce del sole” (Titolo del film su D. Pino Puglisi del 2005).
Cosa hai imparato dalla conoscenza di Fratel Biagio?
Posso dire che da lui ho imparato ed apprezzato tante cose, per prima la confidenza nella Provvidenza, mi raccontava tanti episodi che definiva provvidenza. Un altro aspetto è quello dell’accoglienza incondizionata, chiamava tutti “fratelli”, ed accoglieva tutti senza distinzione di pelle, nazione o religione. Lo testimonia la presenza a rendergli omaggio nella camera ardente di persone di religioni diverse, credenti e non credenti. Altra cosa che lo caratterizzava la grande umanità. C’era poi quel sorriso e quella pace interiore che scaturiva dai suoi occhi e dal suo volto. E, se mi posso permettere, una grande loquacità, alla conclusione della celebrazione eucaristica prima di impartire la benedizione finale chiedeva umilmente la parola per dare un pensiero che era una “seconda omelia” di almeno 10 minuti.
In estate mi capitava di accompagnare i giovani che venivano a Santa Chiara per il “Campo di lavoro” (circa 3 settimane luglio-agosto), per visitare “Missione Speranza e Carità”, qui Biagio raccontava la sua vita da “novello San Francesco” che da benestante (il papà era un agiato costruttore edile) colpito dal vedere alla stazione centrale FS i poveri, lascia tutto e dopo una crisi mistica si dedica a loro, vive da povero, con i poveri, per i poveri. Il racconto affascinate e ben narrato superava abbondantemente l’ora di tempo. Sapendo questo quando accompagnavo i giovani a metà mattinata scherzando dicevo: “Biagio, mi raccomando questa sera alle 8,00 abbiamo la cena”.
Biagio e Matteo a mio avviso due esempi dell’eterna lotta tra il bene ed il male. Io ho avuto la grazia di conoscere e collaborare con il primo.